Category: dinamiche sociali


(scusate l’italiano e gli eventuali errori, ho riletto rapidamente)

Mi capita abbastanza spesso di sentir dire che certi cani (nello specifico, generalmente si parla di cani di razze selezionate per attività intense e/o faticose) per stare bene devono “lavorare”: si sottolinea quanto la loro genetica renda imperativo per quei cani essere impiegati in attività “consone” alla loro razza, perché altrimenti, si dice, non possono essere felici/sereni/appagati/tranquilli.

Non voglio entrare nel merito delle attività di cui sopra, su cui peraltro ci sarebbe tantissimo da dire, ma voglio parlare di una cosa diversa, che riguarda un po’ tutti i cani, in particolare quelli che hanno una grande propensione ad attivarsi e “fare cose”.

La frase “è un cane da lavoro quindi deve lavorare (tanto)” in parte ha senza dubbio un fondamento: una personalità attiva (che sia tale per caso o perché frutto di una selezione specifica, non cambia) sta male se non ha niente da fare, finisce o per intristirsi e deprimersi, oppure per inventarsi le peggio cose per tenersi occupata, e questo non è utile per nessuno, tende a generare conflitti e stress, e a peggiorare ulteriormente le cose.

Pretendere di trasformare un cane attivo e dinamico in un cane “da divano” è una forzatura, una forma di maltrattamento che si configura nel non riconoscere l’identità e le esigenze dell’Altro.
Questo a sua volta non significa che un cane attivo non debba potersi svaccare nelle comodità quando ha finito di far cose, eh, mi raccomando… l’idea che per avere un cane “performante” – e ci sarebbe da chiederci come mai vogliamo che lo sia – lo si debba deprivare di affetti e comodità è un’altra schifezza che mi piace pensare sia ormai superata, ma non vorrei dilungarmi oltre, confidando che chi legge abbia a cuore il benessere dei suoi cani e non abbia bisogno di ulteriori delucidazioni.

Comunque, tornando al tema dell’articolo: l’altra faccia della medaglia è che spesso i cani cosiddetti “da lavoro” e in generale i cani molto attivi vengono stimolati tantissimo nel fare, ma non vengono aiutati ad imparare a rilassarsi e al non fare niente in serenità, quando sarebbe una delle loro maggiori esigenze, proprio per via del fatto che la genetica non li facilita ad apprendere questa capacità.

Per capire quello di cui sto parlando, pensiamo a quelle persone che devono sempre correre di qua e di là, che si riempiono la vita di mille impegni, mille faccende, corsi, appuntamenti, lavoro, ecc., e poi se hanno mezza giornata libera sono quasi in panico perché non sanno cosa fare e di fatto non si godono la possibilità di riposare perché… non sono letteralmente CAPACI di farlo: il loro cervello, a furia di seguire determinate routine, giorno dopo giorno, si è “impostato” sull’attività continua e ha smesso di attivare quei percorsi neurologici che gli permetterebbero di godersi le pause.
La buona notizia è che questa impostazione non è irreversibile, anche se, a seconda di quanto è consolidata, può essere più o meno facile da modificare.

Anche nei cani può succedere la stessa cosa: se si abituano a dover sempre fare-fare-fare-fare, e sono già predisposti in quel senso per carattere/genetica, possono avere difficoltà a rilassarsi e a godersi il “dolce far niente”, quindi se da un lato è importante che abbiano la possibilità di fare attività consone alla loro natura (magari in un altro articolo parlerò di cosa abbia senso considerare “consono” in questo senso), dall’altro è anche importante che abbiano momenti della giornata in cui rilassarsi, e non intendo perché sono esausti da mille attività (chiunque si ferma quando è stanco morto, ma non significa che ci stia bene, che sia rilassato e che questo gli insegni come farlo anche quando è ancora pieno di energie), ma proprio per imparare a stare bene senza dover per forza fare qualche cosa.

Un modo molto naturale per aiutare un cane ad imparare l’arte del riposo è quello che passa dal gruppo familiare, coinvolgendo quindi la sfera sociale, che per il cane ha un valore immenso e un impatto che spesso viene sottovalutato.

Quindi, come si fa?
In sostanza, nella pratica, quando giocate o fate un’attività insieme, e a un certo punto l’attività deve terminare, perché è finito il tempo a disposizione, o perché volete dedicarvi ad altro, si può creare un momento da dedicare all’esperienza del “rilassamento condiviso”.

Invece di chiudere l’attività e dedicarvi a qualcosa che non riguarda più il cane, prendetevi un po’ di tempo per rallentare (se si tratta di un gioco dinamico, per esempio il tira e molla, rallentate progressivamente fino a fermarvi, oppure se state lanciando una pallina, fate tiri sempre più corti, con movimenti sempre più lenti e morbidi, tono di voce meno squillante e volume più basso; se si tratta di un gioco di ricerca, o di altro gioco meno movimentato, mostrate al cane le fasi in cui riponete le attrezzature, muovendovi tranquillamente, parlandogli con calma e a tono di voce basso) e poi sedetevi con lui (meglio se allo stesso livello, quindi insieme per terra oppure insieme su un divano), ma insieme, e aiutatelo con la vostra respirazione (respiri che diventano sempre più profondi e lenti), il vostro tono di voce (che diventa via via più morbido e basso), i vostri movimenti (lenti, lunghi, morbidi) a calmarsi e a rallentare a sua volta, fino a che la vostra “attività”, insieme, diventa il riposo, lo stare seduti o sdraiati a rilassarvi (sentitevi liberi di parlargli e/o di accarezzarlo in modo lento e morbido – l’importante è che il vostro corpo e la vostra voce trasmettano calma, attenzione a non usare la voce o le carezze per calmare voi stessi!).

In pratica, attraverso il vostro esempio concreto, guiderete il cane ad adeguarsi ad un maggiore stato di calma, uniformandosi a ciò che fa il resto del gruppo sociale (ossia voi!).

E’ chiaro, ma, devo dire, non scontato come sembra, che il resto del gruppo sociale, ossia voi (!), deve essere a sua volta in grado di guidare il cane in modo reale e veritiero: il corpo non mente e se noi per primi siamo tesi, nervosi, agitati, scocciati, pressati, frettolosi, eccetera, non potremo trasmettere le emozioni e le sensazioni giuste, per cui prima di pretendere di “lavorare” con il cane occorre che valutiamo se sia il caso di “lavorare” su noi stessi, altrimenti rischiamo di non ottenere nulla o addirittura di peggiorare la situazione (per esempio se non vediamo risultati tangibili e ci irritiamo).

Posto che siate nel perfetto stato d’animo per rilassarvi con il vostro cane, perché questa cosa funzioni all’inizio può comunque volerci un po’, perché dovete ascoltarvi reciprocamente e dovete stare attenti a farvi “seguire” (a livello emotivo) dal cane stesso, ossia ad aiutarlo a “scendere” nell’attivazione emotiva, in modo tale che riesca ad adeguarsi progressivamente.

Se voi siete calmissimi, quasi in catalessi, ma il cane è ancora su di giri, magari ansimante e col battito cardiaco non dico accelerato, ma adatto a un momento di attività fisica e non al riposo, vuol dire che ve lo siete perso per strada e che bisognava fare le cose più lentamente: osservare e ascoltare il cane per capire se state riuscendo a “portarlo con voi verso la calma” è la parte fondamentale.

Inizialmente è anche importante il contesto: un cane che non è abituato a rilassarsi sarà aiutato dal fatto di trovarsi in un luogo calmo, in silenzio o con suoni di sottofondo, senza odori forti, ecc., mentre in mezzo alla confusione e agli stimoli ovviamente sarà più in difficoltà.

Altra nota importante: attenzione a non mettervi in conflitto con il cane, a non PRETENDERE che si calmi. So che suona ovvio, a dirlo, ma quando ci siamo dentro (mi ci metto anche io, eh!) non è detto che lo sia, perché noi umani tendiamo a diventare molto performativi, cioè a darci un obiettivo (che identifichiamo in un comportamento visibile e “misurabile”) e a voler fare di tutto per raggiungerlo, mentre in questo caso non funziona così… l’obiettivo non è avere il cane calmo, e tanto meno fermo (si può stare fermi senza essere minimamente calmi!), l’obiettivo è aiutare il cane a modulare il suo stato emotivo.
Ripetiamolo: l’obiettivo è aiutare il cane a modulare il suo stato emotivo.

Magari all’inizio, le prime volte (anche parecchie volte, se la sua difficoltà è molto radicata), il cane non riesce a rilassarsi quanto vorremmo noi, ma se anche solo iniziasse a fermarsi un secondo, guardarci e domandarsi che cosa sta succedendo, e come mai noi ci comportiamo in un certo modo, per alcuni cani sarebbe già un grande successo.

Siccome mi trovo a scrivere un articolo generico e non conosco il cane con cui potreste voler provare questa esperienza, non posso valutare quale sia il vostro punto di partenza e quanto velocemente si vedranno dei cambiamenti a livello comportamentale, ma ciò che è significativo non è tanto il livello di calma raggiunto in una “sessione”, bensì il progressivo miglioramento della situazione, da una volta all’altra, per cui può essere che inizialmente i cambiamenti siano minuscoli, e poi via via che ci si “allena” in questa cosa, le cose vadano a migliorare sempre più.

Aiutare un cane ad imparare la “nobile arte” del rilassarsi senza far nulla, attraverso l’esempio e la condivisione di un momento sociale/familiare, non è un esercizio programmato da ripetere per un numero definito di volte, è un’abitudine, un’esperienza da vivere insieme, un momento in cui cercare piacere insieme nella vicinanza e nella tranquillità.
Una volta appresa questa capacità all’interno di una situazione sociale, il cane potrà imparare, pian piano e progressivamente, a metterla in pratica anche quando è per conto proprio (quando siamo presenti ma non stiamo interagendo con lui, o quando si trova da solo).

E’ importante capire che la rilassatezza arriva e viene “appresa” quando si scopre che è un piacere, e per qualsiasi animale sociale un piacere che viene condiviso con le persone amate è ancora più bello: per questo motivo l’aspetto sociale dello stare insieme a rilassarsi è così importante ed efficace nell’aiutare un cane a godersi il momento.

>> Disclaimer: questo articolo è, per sua natura, una generalizzazione. Ogni individuo, di qualunque specie faccia parte, è unico e differente dagli altri per genetica e per esperienze vissute, senza contare che più individui intrecciano tra loro relazioni che a loro volta sono uniche e in costante evoluzione, quindi prego chi mi legge di prendere sempre ogni indicazione semplicemente come uno spunto di riflessione, che non va messo in pratica in modo automatico, ma che deve essere calato nel contesto di vita e tarato sulle caratteristiche individuali dei partecipanti umani e canini, tenendo a mente sempre e per prima cosa il benessere e la sicurezza fisica e psicologica di tutti i coinvolti!

Nota: la capacità di rilassarsi di un individuo dipende anche dai suoi livelli di stress. Se il cane vive in un contesto stressante è possibile che abbia difficoltà a rilassarsi per questo motivo, pertanto di fronte a un cane che si agita molto, è sempre attivo, fatica a rilassarsi, o appare “iperattivo”, è importante fare una valutazione – eventualmente con l’aiuto di un professionista – dei fattori di stress e di quanto il cane sia in grado di farvi fronte.

“Qual è il tuo approccio?”
“Che metodo usi?”
“Di che scuola fai parte?”

Insomma, un articolo per spiegare grossomodo cosa combino quando “lavoro” con i cani, estratto da un commento ad un post, nel gruppo Cinofilosofia, questa sconosciuta (si parlava, citando un libro, di cosa sia l’apprendimento emozionale).

Io non ho la più pallida idea di cosa intenda l’autore (anche visto che non so chi sia) per apprendimento emozionale, tuttavia sono d’accordo con il fatto che se si “lavora” (o si dice di lavorare) con le emozioni, bisogna sapere cosa si sta facendo, altrimenti si possono fare dei gran danni.

Ti parlo, a titolo personale, quindi senza pensare di “rivelare” alcuna “verità”, di quello che cerco di proporre quando ho a che fare con i cani, specialmente con cani che mostrano dei disagi di qualche tipo, e tengo a sottolineare come la mia estrema prudenza nello scegliere cosa proporre ai vari cani sia proprio dovuta alla consapevolezza che se non conosci bene non dico “i cani”, ma *quel* cane, in quella famiglia, in quelle circostanze, ecc ecc, è meglio essere super prudenti, piuttosto che rischiare di creare più problemi di quelli che vuoi risolvere.

Il mio “lavoro” consiste prevalentemente nel proporre a un cane delle esperienze, che possono variare moltissimo a seconda di chi è quell’individuo e da come mi si presenza nella situazione in cui ci incontriamo (stage, classi, passeggiata, a casa sua, ecc.).
Possono essere esperienze legate alla comunicazione (con o senza incontri diretti con altri cani, a volte l’olfatto a distanza è più che sufficiente, perfino troppo), legate all’espressione del predatorio, o legate ad altri aspetti del carattere e della personalità che un cane può mostrare, possono coinvolgere l’uso di oggetti (risorse), l’uso dello spazio (distanze, recinzioni, confini veri o immaginari, elementi dell’ambiente e reciproche posizioni), eccetera eccetera.

Vivere un’esperienza fa provare, a chi la vive, delle emozioni, che sono alla base di ciò che forma, in un individuo, opinioni e idee sul mondo e sulla propria relazione con il mondo stesso, perciò sono alla base di quello che determinerà i comportamenti di quell’individuo.

Se io riesco a cogliere ciò di cui un certo individuo può avere bisogno, posso scegliere delle esperienze da proporgli, che suscitino in lui/lei delle emozioni tali da cambiare la sua percezione di sé e del mondo (ovviamente, si parla di cambiamenti specifici e limitati, ma che possono nel tempo essere portati avanti e ripetuti fino a costituire una base solida per un’evoluzione interiore profonda e durevole).

Il problema e la magia di questo approccio (che NON è un metodo, in quanto cosa poi FAI quando sei di fronte a un cane, dipende dal singolo cane e dalla situazione contingente, e non esistono regole fisse o protocolli che possano andare sempre bene) è la delicatezza necessaria a entrare in contatto con una sfera interiore della personalità di un certo individuo, al punto da cercare di rendersi conto di cosa si trova alla base di una serie di comportamenti (che sono ciò che noi vediamo, di ogni individuo), per poter proporre un’esperienza che scuota le convinzioni che nel passato sono state create (per esempio che certi umani ti vogliano fare del male, o che altri cani vorranno sempre rubarti il cibo, o che la tua famiglia umana non ha interesse nell’ascoltarti e supportarti, o qualsiasi altra convinzione) e dia modo a quel cane di esperire una situazione diversa, o un esito diverso a una situazione nota, andando a modificare il suo pensiero su ciò che accade, e in conseguenza, anche i comportamenti che quel pensiero andrà, in futuro, ad esprimere.

Considerando quanto gli umani, e in particolare gli educatori cinofili che utilizzano approcci di tipo comportamentista (da “behaviourist”), sono legati al focus sul comportamento, è drammaticamente facile che si creino dei fraintendimenti veramente grossolanti, che andranno a danno del cane.

Un esempio:
se abbiamo un cane che in certi contesti si fissa a cacciare le lucertole, o addirittura qualche cosa che non esiste, e nel far ciò smette totalmente di dare retta alla sua famiglia umana, che facciamo?

Un educatore di stampo comportamentista potrebbe pensare che sia una buona idea bloccare tutti i tentativi di dedicarsi alla caccia, fino a che l’attenzione del cane non venga riportata al suo umano.
Questo l’ho visto accadere in tanti modi: con le punizioni, con i premietti, con l’utilizzo (sigh) di altri cani “regolatori” (ma quando mai?) che per motivi loro sceglievano di bloccare qualsiasi iniziativa dinamica negli altri cani, ecc.

Ma se quel comportamento di caccia “fuori contesto” fosse dovuto non a un “capriccio” del cane, bensì a un’emozione (di disagio) che gli fa attivare l’istinto predatorio ed esprimere comportamenti in effetti di evitamento e di scarico di stress, che cosa succederebbe, in quel cane, qualora venisse inibito o “convinto” a dare retta agli umani (o a confrontarsi con altri cani, o a prendere consapevolezza di essere in uno spazio recintato, o qualsiasi altra sia la causa del suo disagio)?
Evidentemente, il disagio resterebbe, e gli ci si potrebbe sommare anche una certa dose di conflitto e di sfiducia, derivanti dal non essere compreso e dall’essere di fatto costretto ad abbandonare un comportamento con cui cercava di procurarsi sollievo.

Un approccio che lavori sulle emozioni andrà a cercare per esempio, invece, di creare una situazione in cui il cane, in quel contesto, modificando alcuni parametri o proponendo dei “diversivi” più funzionali, riesca a trovarsi a suo agio, si senta capito, ascoltato, tutelato dal suo gruppo e capisca di “potercela fare”, e quindi smetta di provare disagio e conseguentemente di aver bisogno di andare in evitamento o in scarico attraverso comportamenti predatori non pertinenti.

Al contempo, chi lavora sulle emozioni però deve anche saper modulare molto bene le esperienze che propone e adattarle in tempo reale alla situazione, perché occorre “andar dietro” alle emozioni del cane (o DEI cani, se ce ne sono più di uno in campo), far sì che non si esageri, che se lo stress è comunque eccessivo siano sempre disponibili dei comportamenti che possano alleviarli (ma senza nuocere ad altri), quindi occorre far grande attenzione a non scivolare, anche involontariamente, nel dire al cane cosa deve fare (dare comandi o fare richieste), nell’impedire i comportamenti di scarico… il tutto, con la ciliegina sulla torta che esistono anche cani “melodrammatici” e manipolatori, che sono perfettamente in grado di fare delle sceneggiate incredibili pur di non dover uscire dai propri schemi mentali e faticare a trovare nuovi punti di vista sul mondo.

E’ venuto un post chilometrico, e non ho detto nemmeno un decimo di quello che avrei voluto esprimere, ma spero si riesca almeno a intuire che cosa poteva voler dire l’autore della frase citata, dicendo che per lavorare a livello emozionale in maniera efficace e non dannosa, bisogna fare veramente tanta attenzione e metterci sensibilità e competenze che si possono acquisire solo con una formazione di un certo tipo.